Tranquilli, Sono Vivo: febbraio 2008

lunedì, febbraio 11, 2008

For The Benefit Of Mr.Humbert #2






All'inizio di tutto, il solito chiacchiericcio. Entrano in scena i Baby Lemonade, signori nessuno che ribadiscono come gli statunitensi abbiano capito dell'Europa certe cose che gli stessi europei non capiranno mai. Eseguono l'introduzione, la banda dei cuori solitari del Sergente Pepe. Da quel momento in poi le impressioni si fanno rapide e sfumate, mentre le persone intorno a noi mostrano un'evidente regressione all'adolescenza, a volte con note imbarazzanti.
Jarvis Cocker in "With a little help from my friends" non prova nemmeno a sfidare l'altro Cocker. Curioso. Si piazza nel suo punto del palco, dove i fari e l'abbraccio dell'orchestra lo fanno sembrare un po' meno smilzo. A ruota, Beth Orton affronta Lucy In the Sky With Diamonds con il solo aiuto della sua gonna vertiginosa. E vince. Seguono i personaggi improbabili. Badly Drawn Boy si cimenta egregiamente in una Getting Better da osteria. Appare visibilmente provato e paonazzo in viso. Momento di silenzio/rispetto per l'attacco di Alex Chilton su Fixing a Hole, le corde vocali incrostate di sabbia e un bellissimo accento.

L'ingresso di Marianne Faithfull segna l'inizio della fase 2, l'accettazione. La signora entra, elargisce baci e abbracci, sorride e, tutto sommato, ci ama. She's Leaving Home scorre via come la più comune delle vicende. Abbandona la scena lentamente, per fare spazio a tre occhi giganti e un tizio con la maschera antigas. Quando si legge il manifesto di un concerto che annuncia "The Residents", di solito si immagina un'interminabile successione di sgradevoli rumori, tipo un concorso di rutti alla festa di paese di Pancarana. I signori, giusto per dispetto, se ne escono con una versione del mio pezzo preferito che, in confronto, John Lennon fa la figura del boy scout alla messa di Natale (ah, Auguri!).



Peter Murphy dei Bauhaus, Russel Mael degli Sparks e una seconda apparizione di un Badly Drawn Boy (Lovely Rita) che legge le parole da un leggio, ma le sbaglia comunque, ci accompagnano verso la fine. Peter Murphy sparge petali di fiori sull'orchestra e sui suonatori di tabla per "Within you, without you", ma la sua voce si sente poco, mentre Mael (in "When I'm Sixty Four) riesce a sembrare ancora più dandy di quello che è, perfettamente piantato con la sua sciarpa rossa e l'aria da furbo, che solo a guardarlo ti ritrovi con almeno un po' di fondotinta e rossetto color carne. Tornerà verso fine concerto tirando fuori dal cilindro "It's all too much", suonata dalla band e dall'orchestra come un pezzo di Bruce Springsteen che, in un grigio giorno di ottobre, decide di fare una cover dei Jefferson Starship.


Il finale è come ci si aspetta. Robyn Hitchcock infila in serie "Good Morning, Good Morning" sopra una batteria indiavolata e a seguire il reprise del tema iniziale. Attimo di pausa e torna la Faithfull che inizia "A Day In The Life". Probabilmente aiutata dal piccolo particolare di essere stata presente durante le registrazioni originali della stessa, durante le quali saltava e ballava come un'ossessa, recita sè stessa e Lennon in modo formidabile, rimane impassibile mentre l'orchestra tira giù anche le nuvole e lascia spazio a Cocker che compare per un cameo nella parte di McCartney. Tonnellate di applausi. Metà erano i miei.

Finita la riproposizione della scaletta, i nostri ritornano per qualche highlight presa dagli altri dischi ("Tomorrow Never Knows", "The Walrus", ma niente "Eleanor Rigby" con mio grande disappunto) e concludono con una "All You Need Is Love" che ricorda vagamente, unica nota negativa, un momento di amarcord in un reparto di geriatria. Per fortuna non è successo ciò che temevo, ossia Sting, Eric Clapton ed Elton John ad unirsi per una "Let It Be" conclusiva. Nel momento di delirio finale un signore bassotto e attempato inizia a saltellare facendo le corna con entrambe le mani (per i 4 o 5 di voi che non siano mai stati metallari, allego una foto di Lennon che riproduce il gesto). Una famiglia proprio davanti a noi inizia a ridere. Dapprima pensiamo che abbiano capito, ma al ripetersi del gesto esilarante la madre si gira verso di me è mi chiede:
"Mi scusi, ma cosa vuol dire quel gesto ?!"
Io, educato, le rispondo:
"Vuol dire -Rock and Roll!- , signora".
Veniamo entrambi derisi.







[The Radio Plays: Beulah - Me And Jesus Don't Talk Anymore (Yoko, 2003)