#1: Hendry Contro Wilkinson
La palla rossa nella buca d’angolo.
La stecca si muove veloce,
si appoggia alle dita,
colpisce la palla.
La palla rossa è nella buca d’angolo.
Caro vecchio Hendry, ti hanno detto tante cose, eppure l’hai infilata quella palla. Ti hanno detto che lei si è dimenticata il tuo nome e tu ci hai creduto. Poi ti hanno detto che ha chiuso gli occhi, accecata da una visione splendente, più bella di te. La palla rossa è rotolata lentamente passando in mezzo alla rosa e alla gialla. Il biliardo è stupido, stupido abbastanza da permetterti di pensare, vecchio Hendry. Ma devi mantenere la concentrazione, perché ad un tratto le palle possono diventare fiori. Il panno verde, il prato. La stecca, la solita schifosa sigaretta.
E Wilkinson?
Wilkinson diventa lei in persona e lo sai, contro lei non puoi vincere.
Tocca alla gialla, un tiro difficile. Le avevi chiesto di perdonarti e lei non ha aperto bocca, neanche una mossa. Risposta scontata, eppure hai abbozzato un sorriso, proprio come ora. Pensavi che, comunque, avrebbe potuto cambiare idea. Per questo ora giochi a biliardo, amico Hendry, perché fortunatamente le palle, a meno che tu non voglia, non tornano mai indietro. Certo, possono andare storte, ma quella è la legge del caso. Oppure un semplice riflesso della tua imprecisione.
La gialla, nettamente laterale, rimpalla due volte e si ferma vicino alla blu. Brutto tiro. Pessimo, anzi, se si considera un professionista come te. La giostra passa in mano a Wilkinson. Rilassati, fratello Hendry, per un poco potrai non pensare a nulla.
( … )
Wilkinson, dopo aver osservato la scena senza troppa partecipazione, si alza nel momento in cui Hendry si siede. Guarda il tavolo, traccia rapidamente le linee che la palla deve disegnare, una ragnatela immaginaria e tragicamente perfetta. Posa il gesso sulla punta della stecca, poi lo lascia cadere per terra. E’ una furia, Wilkinson. Non hai il tempo di pensare per quale palla sia il turno di essere eliminata, che quella è già rotolata in buca senza troppa gloria.
Gialla. Uno. Blu. Due. Cinque, Sette. Fino alla nera.
E per tutto il tempo, Wilkinson scrive l’immaginario poemetto della propria vittoria, accompagnato da squilli di trombe e nuvole di cocaina. Finiva ogni cosa nel momento esatto in cui pensava di iniziarla. Tranne una, forse, ma non la ricordava più.
(...)
All’età di quindici anni, Wilkinson torturava spesso gli animali. Un giorno capitò, mentre faceva la posta a un gatto randagio per poterlo finalmente avere fra le mani, che un signore anziano lo fermasse e gli chiedesse:
- Perché fai del male a quelle povere bestie?
Lui, non molto sorpreso dalla domanda, tentennò comunque.
Poi rispose:
- Io ho il potere più grande. Sono loro a soffrire al posto mio. Ho la possibilità di decidere.
- E se fosse qualcuno a decidere per te?
- In un certo senso succede ogni giorno. Se sono il primo a subire questo trattamento, non mi resta che accettarlo e assumerlo come regola.
Il vecchietto, con in viso l’ombra che quelle parole gli avevano presentato, pensò bene e poi disse:
- Sai bene che così non finirà mai.
Wilkinson lo sapeva, ma non rispose. Si limitò a fare un cenno con le spalle, come seccato. E se ne andò, dimenticandosi del gatto.
(...)
Partita finita, Wilkinson vince senza troppa difficoltà. Le persone del pubblico si complimentano con lui, la diretta tv si interrompe e concede lo spazio al telegiornale.
2 Commenti:
che bello
che brutto. che persona banale sono. stimami.
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